martedì 13 novembre 2007

ISLAMABAD

Padoa Schioppa ISLAMABADLa leader dell'opposizione pachistana Benazir Bhutto è stata posta agli arresti domiciliari nella sua abitazione a Islamabad, circondata da agenti di polizia. Mezzi blindati della polizia hanno circondato ieri l'abitazione dell'ex premier pachistana nella capitale. Un funzionario della polizia ha precisato che il provvedimento di arresti domiciliari è stato preso alla vigilia della manifestazione organizzata da Bhutto a Rawalpindi, nei pressi di Islamabad, per protestare contro la decisione del presidente Pervez Misharraf di imporre lo stato di emergenza.
Il Partito Popolare di Bhutto ha riferito inoltre dell'arresto di circa 5.000 suoi sostenitori negli ultimi tre giorni. L'ex premier Bhutto non è «formalmente» agli arresti domiciliari, ma «non consentiremo a nessun leader di guidare alcuna manifestazione». «La legge è uguale per tutti - ha detto all'Associated Press il ministro dell'Informazione Tariq Aziz - e chiunque la violi è chiamato a risponderne».
L'abitazione dell'ex premier è circondata da decine di agenti, alcuni in tenuta anti-sommossa, e mezzi blindati della polizia. I poliziotti hanno creato recinzioni di filo spinato e hanno eretto barriere. «Oggi non va da nessuna parte», ha dichiarato un funzionario. Per oggi era prevista infatti una manifestazione di protesta a Rawalpindi, nei pressi di Islamabad, contro lo stato di emergenza decretato da Musharraf.
La detenzione di Bhutto è stata condannata dai suoi sostenitori. Un suo stretto collaboratore, Babar Awan, ha commentato: «Dimostra che il governo ha paura della popolarità di Benazir Bhutto e non vuole che si mischi alle masse». http://www.lastampa.it/ [^] [L] Note Legali [Y] Privacy [K] Crediti ~ ©2004-2007 Tutti I Diritti Riservati ¤ Creative Artworks & Città di Villa San Giovanni ~ :: Nel rispetto della corrente normativa sulla privacy, d.lg 196/2003 ::

giovedì 25 ottobre 2007

Padoa Schioppa Governo battuto due volte in aula al Senato

Padoa Schioppa
ROMA - Governo battuto due volte in aula al Senato: la prima su un emendamento proposto dall'Udeur sui dirigenti della giustizia. Il governo aveva espresso parere favorevole alla modifica mentre il relatore si era rimesso alla volontà del governo. Il voto dell'aula è stato di 155 pari, che al Senato equivale ad un no. Poi ancora un voto pari - 156 a 156 - e il governo viene nuovamente battuto. Questa volta a non passare e ' l'emendamento della Commissione Bilancio sul digital divide.SENATO: MAGGIORANZA SPACCATA, BATTUTA DUE VOLTEMattinata nera per la maggioranza al Senato, battuta due volte sul decreto collegato alla finanziaria: sull'emendamento che prevede lo scioglimento della società Stretto di Messina Spa e, dopo un paio di votazioni, sull'emendamento che prevede la cancellazione della Scuola superiore di Pubblica Amministrazione. Entrambi gli emendamenti avevano l'appoggio della commissione Bilancio. Il governo, comunque, si è salvato nelle due votazioni perché si era rimesso al voto dell'Aula, senza esprimere un suo parere. La società istituita per la costruzione del Ponte rimane in vita grazie ai voti della Cdl a cui si sono aggiunti quelli dell'Italia dei Valori e di due senatori del Partito socialista. I voti contrari alla soppressione sono stati 160 quelli favorevoli 145, mentre sei senatori si sono astenuti. Ma la maggioranza è andata in frantumi perché cinque suoi senatori hanno votato contro l'emendamento della commissione Bilancio mentre sei si sono astenuti. L'astensione al Senato vale come un voto contrario. I cinque senatori che hanno votato con la Cdl sono: Nello Formisano, Fabio Giambrone e Giuseppe Caforio dell'Italia dei Valori; Roberto Barbieri e Accursio Montalbano della Costituente Socialista. In questa votazione, però, il gruppo dell'Idv si è spaccato, perché la senatrice Franca Rame ha votato sì insieme alla maggioranza. Si è spaccato anche il gruppo socialista perché il senatore Gavino Angius ha votato con la maggioranza. Dei sei senatori che si sono astenuti, a parte il senatore a vita Emilio Colombo (che però vota sempre con l'Unione), gli altri cinque sono: Lamberto Dini e Natale D'Amico dei Liberal Democratici e tre senatori del gruppo della Autonomie, Carlo Perrin, Manfred Pinzger ed Elda Tahler. Anche nell'astensione c'é stata una spaccatura nei Liberaldemocratici perché il diniano Giuseppe Scalera ha votato sì allo scioglimento della Stretto di Messina Spa. Tra i senatori che non hanno partecipato al voto spicca l'assenza del ministro della Giustizia Clemente Mastella che era presente in aula prima del voto ed ha anche preso la parola per commemorare brevemente la morte dello storico Pietro Scoppola. Non ha partecipato al voto anche il presidente della commissione Affari Costituzionali Enzo Bianco (Ulivo). Anche i senatori a vita presenti si sono divisi al momento del voto: Emilio Colombo si è astenuto mentre Rita Levi Montalcini ha votato con la maggioranza. Sull'emendamento che prevede la cancellazione della Scuola di Pubblica Amministrazione, la maggioranza è stata battuta con 160 no, 149 sì e un astenuto: Hanno votato con la Cdl i Liberaldemocratici Lamberto Dini, Natale D'Amico e Giuseppe Scalera (questa volta uniti); e Domenico Fisichella. Si è astenuto il sottosegretario Franco Danieli.IL SENATO DICE NO ALLO SCIOGLIMENTO DELLA STRETTO SPAdi Corrado Chiominto ROMA - Il Ponte sullo Stretto non si fa, la decisione è già stata presa. Ma la società "Stretto di Messina spa" rimane, non viene cancellata. L'Aula del Senato ha bocciato l'emendamento che proponeva lo scioglimento della società guidata da Pietro Ciucci creata per seguire i lavori del Ponte per unire Calabria e Sicilia. Si trattava di una proposta nata sull'onda della riduzione degli sprechi legati ai "costi della politica" alimentati da strutture pubbliche oramai senza una missione precisa, come la Stretto di Messina che costa 34 milioni l'anno. Ma il Senato ha detto no anche ad un'altra proposta che si proponeva di ridurre i costi esponenziali delle amministrazioni, quella che estendeva la cancellazione della Scuola della Pubblica Amministrazione (soppressione che rimane), ad altre strutture pubbliche per la formazione del personale: dall'Istituto diplomatico alla Scuola Superiore dell'Amministrazione dell'Interno fino alla la Scuola Superiore dell'Economia e delle Finanze. Per risparmiare si proponeva di fonderle in una sola "Agenzia per la Formazione". Come dire, stessi scopi, meno poltrone. Ma l'Aula del Senato non ha approvato l'emendamento che aveva già ottenuto il via libera dalla Commissione Bilancio. Così non sono passati due emendamenti che si proponevano risparmi, sui quali il governo alla fine non ha espresso il proprio parere, rimettendosi alla valutazione dell'Aula. La società "Stretto di Messina" è stata al centro negli ultimi giorni di polemiche all'interno della maggioranza. L'emendamento proposto dal relatore del decreto collegato, il verde Natale Ripamonti, era stato approvato dalla maggioranza in commissione Bilancio. Era quindi arrivato all'aula come proposta della Commissione sulla quale il governo, presagendo maretta per l'annuncio del capogruppo Idv Formisano di votare contro, si è rimesso all'aula. Il nodo politico interno alla maggioranza nasce anche da una diversa valutazione tecnica sulla cancellazione della società. La proposta del relatore (diventata poi di tutta la Commissione dopo l'approvazione da parte della Bilancio) puntava alla cancellazione della "Stretto di Messina" con l'utilizzo del personale in una neo-Agenzia col compito di promuovere le infrastrutture in Calabria e Sicilia. Il ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro aveva però espresso nei giorni scorsi la sua contrarietà sulla soppressione della società, definendo i promotori "talebani" animati da "puro furore antagonista". Il rischio, aveva spiegato il ministro, è quella di vedersi recapitare una penale di 500 milioni di euro da parte delle società private già impegnate per i contratti sul ponte. Ecco quindi la proposta del ministro: far confluire la "Stretto di Messina" nell'Anas, che tra l'altro è guidata dallo stesso presidente Pietro Ciucci. Per molti senatori dell'Unione del Senato l'ipotesi non era però percorribile. Il potere sarebbe rimasto allo stesso Ciucci che in una recente interrogazione dell'Unione (firmata da Brutti della Sd, dalla Donati dei Verdi, da Casson dell'Ulivo e anche da Sodano che è del Prc ed è presidente della commissione Ambiente di Palazzo Madama) viene invece accusato di aver fatto moltiplicare le spese della società - soprattutto quelle per la propaganda e pubblicità e quelle degli 'stipendi' degli amministratori - nell'ultimo quinquennio, tra il 2002 e il 2006. "Le spese di propaganda e pubblicità - spiegavano i senatori - sono passate da 110.000 euro nel 2002 a 1.480.000 euro nel 2004" e inoltre "particolarmente rilevante è stato l'aumento della voce 'emolumenti e gettoni di presenza amministratori', stabilita in 526.000 euro nel 2002 con un picco di 1.616.000 euro nel 2006". Prima del voto si era anche tentata una mediazione tecnica per smontare contrapposizioni politiche: far confluire la "Stretto di Messina" nella Rfi (la società delle Ferrovie che gestisce le strutture) oppure in Fintecna. Ma l'accordo non è stato raggiunto. E il voto ha confermato la spaccatura, con alcuni senatori del partito di Di Pietro, l'Idv, e alcuni della costituente socialista che hanno votato contro, insieme alla Casa della Libertà, mentre altri sono stati notati per la loro assenza, come il ministro guardasigilli, Clemente Mastella.

sabato 13 ottobre 2007

Il risanamento è possibile

Padoa-Schioppa ne è convinto
Il risanamento dell'Italia è un compito difficile ma non è "un muro insormontabile": lo ha detto il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa nel corso di una lezione all'Istituto Universitario Europeo di Firenze. La soluzione, secondo il titolare del Tesoro sarebbe semplice: "spostare una piccola parte di risorse dai consumi privati ai beni pubblici", visto che gli standard di vita nel nostro Paese "sono tra i piu' elevati".
"Credo che la questione sia quella di spostare una piccola parte di risorse dai consumi privati ai beni pubblici- ha ribadito il ministro- si tratta "di un cambiamento marginale e nessuno può dire che va oltre quello che questo Paese può permettersi. Non è un sacrificio che colpisce i livelli di vita delle persone". Secondo Padoa-Schioppa, si "possono avere dei buoni servizi pubblici senza aumentare le tasse ma fermando la corsa del deficit e aumentando l'efficienza".

Conti, e' duello di dati tra Padoa-Schioppa e Draghi

Botta e risposta tra il ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa ed il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi sul percorso di riduzione del deficit, percorso che ieri, il governatore, ha definito "lento" nel corso della sua audizione davanti alle commissioni bilancio di Senato e Camera riunite. Fornendo delle cifre che il Tesoro ha ieri contestato. E che hanno portato via Nazionale, in serata, a ribadire: il percorso di riduzione del deficit e' lento, essendo sceso tra 2006 e 2007 di un punto percentuale e, secondo le stime, scendendo di 0,2 punti tra 2007 e 2008. Per il ministero dell'Economia, invece, il deficit si e' ridotto dal 4,4% del pil del 2006 al 2,4% stimato nel 2007. Se si considera l'impatto netto delle una tantum, sia negative che positive, si passa dal 3,3% dell'anno scorso al 2,5%. L'indebitamento netto strutturale (al netto delle una tantum e del ciclo economico, calcolato secondo la metodologia adottata da tutti i paesi Ue), sempre tra 2006 e 2007, si e' ridotto dello 0,5% del Pil, aggiunge il Tesoro.

CARO-MUTUI, BOOM DI PIGNORAMENTI ED ESECUZIONI

ROMA - Sostenere la rata del mutuo è un impegno sempre più gravoso per un crescente numero di famiglie italiane. E le difficoltà incontrate per far fronte al caro-rate si traducono sempre più spesso in una debacle, tanto che quest'anno il numero di pignoramenti ed esecuzioni dovrebbe salire del 19%. A pesare sui portafogli delle famiglie - evidenzia uno studio dell'Adusbef - è il fatto che i mutui erogati sono in gran parte, il 91%, a tasso variabile, quindi suscettibili "anche per la rapidità delle banche italiane" nel trasferire le decisioni di politica monetaria, a ogni ritocco del costo del denaro. Secondo i dati dell'Osservatorio mercato immobiliare dell'Agenzia del Territorio, la durata media dei nuovi mutui erogati tende ad allungarsi: nel 2004 era pari a 18,4 anni, mentre nel 2006 si è attestata a 22,2 anni, con un aumento del +19,4%. I dati diffusi dall'Adusbef vengono però contestati dall'Abi: "Quelle dell'Adusbef sono cifre per noi ignote, che non hanno alcuna relazione con i tassi di interesse sui mutui. Di recente un'indagine rapida del centro studi dell'Abi, su un campione rappresentativo di banche italiane, aveva rilevato che il livello di rate impagate si aggira intorno all'1% del totale erogato. Il caro-casa pesa su 3,6 milioni di famiglie italiane, di cui 1,7 milioni è alle prese con l'affitto mentre il restante 1,9 milioni fatica a far onore a fine mese al pagamento della rata del mutuo. Secondo le stime - precisa l'Adusbef - le procedure immobiliari o pignoramenti sarebbero pari al 3,5% del totale dei mutui, quindi a circa 120.000 su 3,5 milioni del totale, "perché la maggior parte di essi è stato erogato a tasso variabile e risente del rialzo dei tassi della Bce, quando negli anni 2003-2004 i tassi di interesse erano arrivati ai minimi storici e tutti gli indicatori stimavano un loro aumento". Solo a Milano i pignoramenti e le esecuzioni dovrebbero salire quest'anno del 22%, mentre a Roma l'incremento dovrebbe attestarsi al 21%. L'allarme dell'Adusbef, secondo ministro dell'Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, "non va sottovalutato. Nel nostro Paese non dovrà mai esserci una deriva americana". Il vicepresidente del Prc Senato Tommaso Sodano e il presidente Giovanni Russo Spena ritengono "sia necessario intervenire a tutela delle famiglie. E forse la risposta va trovata proprio in Finanziaria". In Italia poco meno della metà dell'acquisto di abitazioni (il 47,8% nel 2006 in base ai dati dell'Osservatorio Immobiliare) è finanziato con la tecnica del mutuo ipotecario: il capitale erogato con il mutuo ipotecario rappresenta circa il 55% del capitale erogato mediante mutui ipotecari. Secondo l'Adusbef, "per colpa delle banche", il 91% dei mutui italiani sono a tasso variabile: gli istituti - prosegue l'associazione dei consumatori - hanno "costretto milioni di consumatori, ad accendere mutui a tasso variabile quando, specie nel 2004, i tassi di interesse erano ai minimi storici e non si doveva consigliare o imporre (molte banche non erogavano proprio i tassi fissi) agli utenti bancari, di essere gravati di pesanti prestiti di lungo periodo (30-40 anni) a costi apparentemente più bassi che però, con il rincaro del costo del denaro, solo due anni dopo diventavano sempre più insostenibili". Il tasso di interesse iniziale medio - emerge dall'analisi dei dati dell'Osservatorio Immobiliare - è passato dal 3,85% del 2004 al 4,47% del 2006, ossia è salito di 0,62 punti percentuali (+16%). Ma non solo solo le famiglie italiane ad essere in difficoltà per il caro-mutui: i dati diffusi dall'ultimo Bollettino mensile della Bce mostrano come nel terzo trimestre le richieste di finanziamenti per l'acquisto di una casa sono scese del 15%, che si va ad aggiungere alla flessione del trimestre precedente. Ciò in parte è legato - secondo l'Adusbef - all'aumento dei tassi e alle maggiori garanzie richieste dopo la crisi dei mutui subprime statunitensi. E in Germania, la prima economia europea, le cose non vanno meglio: a ottobre 2007 i tedeschi hanno registrato un incremento delle insolvenze del 20% e alla fine dell'anno si potrebbe sforare quota 100.000. Dal 1999 ad oggi sono circa 400.000 i tedeschi che non sono riusciti a onorare i debiti contratti, un quarto solo nel 2006, quando sono state registrate 92.000 dichiarazioni di insolvenza.

mercoledì 10 ottobre 2007

LE “BELLISSIME” TASSE DI PADOA SCHIOPPA


Che l’Italia vada male lo sanno tutti sia in Europa, sia negli Stati Uniti d’America, ma quando ascoltano le dichiarazioni del superministro Tommaso Padoa Schioppa i cittadini si rendono conto che il nostro Paese non va solo male, ma sta calando precipitosamente. Padoa Schioppa è ministro dell’Economia, e quasi ogni giorno fa dichiarazioni che un tempo si sarebbero definite “fregnacce”.
Ora ha dichiarato addirittura che “le tasse sono bellissime”. Che le tasse siano necessarie e che si debbono pagare è ovvio: lo si fa da alcuni millenni, ma nella storia nessun ministro ha mai dichiarato che le tasse sono belle. Quando l’uomo che dovrebbe dirigere la nostra economia salta fuori con dichiarazioni siffatte (che Daniele Capezzone definisce “da marziano”, mentre Fabrizio Cicchitto preferisce descrivere come “penitenziali”) non si può fare a meno di concludere che l’economia di questo Paese è guidata da un uomo neppure accettabile dal Terzo Mondo. Il professor Romano Prodi è un brav’uomo, ma anche lui deve condividere - nel suo intimo - le affermazioni di Capezzone e Cicchitto. Noi non riusciamo a comprendere perché Prodi abbia fatto la scelta di questo personaggio: forse perché non lo conosceva bene. Però avrà letto le sue dichiarazioni grottesche e crediamo che ne sarà rimasto sconvolto. Mai una nazione ha dato in mano la responsabilità dell’economia a un uomo così privo di cautela e celebre ormai per le troppe frasi “del sen fuggite”. Noi comprendiamo che a Prodi piaccia stare a Palazzo Chigi e soprattutto che sia lieto di poter governare. Ma con chi? Si rende conto il capo del governo che l’economia è il fondamentale dello Stato da quando è sorta la civiltà? E non si venga a dire che un ministro può essere bravo in economia anche se ogni tanto si lascia sfuggire qualche frase infelice. La serietà intellettuale non può non essere disgiunta da un minimo di ingegno. E chi ingegno non ha, non può essere assolutamente un capace economista in grado dirigere la nazione nel settore primario. Padoa Schioppa ha sicuramente studiato l’economia. Ma non ci sono mai state nel mondo persone che capivano veramente i fatti economici e che si lasciassero andare a tali leggerezze quando parlavano. Noi non sappiamo chi domani potrà governare il Paese e deciderne l’economia. Ma certo è che chi prenderà questa responsabilità in futuro deve avere equilibrio e saggezza e non far ridere la gente con affermazioni puerili e al di fuori della realtà. C’è il fondato dubbio che un personaggio che continua a fare affermazioni che si possono definire quanto meno infantili non possa avere capacità sufficienti per rimanere alla guida di un dicastero così importante. Se Prodi - per ragioni sue, che non conosciamo - non se ne vuole andare, mandi almeno un uomo di buone capacità al ministero dell’Economia. Se teme che ciò possa significare crisi di governo, trovi una scusa - che so, che Padoa Schioppa è malato - e lo sostituisca temporaneamente con Tizio, Caio o Sempronio. L’Italia è sempre stata un Paese serio, anche se meno quotato di Germania, Francia e Gran Bretagna e non può finire nel ridicolo. Noi non diciamo che a capo del governo debba andare Lamberto Dini o Silvio Berlusconi; su ciò deciderà a suo tempo il Parlamento. Diciamo solamente che chi non è in grado di ricoprire un determinato ruolo deve uscire di scena quanto prima che procuri eccessivi danni al Paese. Se Padoa Schioppa non è adatto al dicastero di XX Settembre, come tanti italiani affermano, lasci il ministero dell’Economia e non faccia dire a tutto il mondo che l’Italia è ormai un Paese da quattro soldi, nel quale manca ogni capacità di governare e di dirigere. Con Padoa Schioppa ne soffre la nostra credibilità. A nostro avviso egli non sarebbe nemmeno in grado di condurre avanti l’economia di un povero Comune di dieci o quindicimila abitanti.

Su debito pubblico e finanziaria scontro tra Almunia e Padoa Schioppa


Braccio di ferro sulla Finanziaria fra Tommaso Padoa-Schioppa e Joaquin Almunia. Il commissario Ue agli affari economici e monetari parla della necessità di "misure aggiuntive" e chiede all'Italia "il rispetto dei patti" per aggredire un debito pubblico "insostenibile", il ministro dell'Economia replica: gli impegni con l'Europa sono stati rispettati.


Debito pubblico insostenibile, servono correttivi. Lo ha detto Joaquin Almunia, commissario Ue agli affari economici. Ha replicato Padoa Schioppa: nel 2007 abbiamo fatto meglio del previsto sul fronte del deficit e nel 2008 possiamo fare anche un po' di meno. A sentire le dichiarazioni di Almunia e quelle di Padoa-Schioppa nella due giorni lussemburghese in cui si sono riuniti l'Eurogruppo e l'Ecofin sembra di assistere ad un dialogo tra sordi, con il commissario decisamente più duro con l'Italia che con la Francia, malgrado quest'ultima abbia confermato l'intenzione di far slittare al 2012 l'obiettivo del pareggio di bilancio. LE CRITICHE. Il commissario Ue alla fine dell'Eurogruppo aveva parlato di Finanziaria "non ambiziosa" che richiede "misure aggiuntive". Poi: "Al di là della correzione del deficit eccessivo - ha detto - non possiamo ignorare che l'Italia ha un debito pubblico insostenibile, che ogni anno costa il 4,5% del Pil. Questa situazione non può protrarsi all'infinito". Almunia si è detto quindi preoccupato per il fatto che nel 2008 la correzione del disavanzo sarà solo dello 0,2%, contro lo 0,5% previsto, e che il pareggio di bilancio resta confermato al 2011, anzichè anticiparlo al 2010 come l'Eurogruppo ha chiesto a tutti i Paesi.LA REPLICA. Pronta la replica di Padoa-Schioppa. "Nessuno mi ha detto, nè avrebbe potuto dirmi che sono stati mancati gli impegni presi in Europa". Come nessuno nel corso dell'Eurogruppo - assicura il ministro - ha chiesto all'Italia misure aggiuntive: "Chiedetelo ad Almunia", ha replicato seccato. "Certo - ha ammesso - l'Italia per il 2008 farà un aggiustamento del deficit dello 0,2%, meno dello 0,5% previsto nella versione più impegnativa del braccio preventivo del patto Ue". Ma l'impegno complessivo dell'Italia - ricorda - era una correzione del 2,1% in tre anni, di cui l'1,6% nel biennio 2006-2007 e lo 0,5% nel 2008". Siccome nel biennio precedente si è fatto di più (tanto è vero che il 2007 si chiuderà con un deficit al 2,4% contro il 2,8% precedentemente stimato) allora - è il ragionamento del ministro - nel 2008 si può anche fare di meno.